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ANABASI: la marcia dei Diecimila

2019-08-29 19:20:03

Un'epopea vera, narrata da uno dei suoi principali protagonisti, nello scenario delle lotte dinastiche dell'Impero Persiano e delle vicende di egemonia politica delle poleis greche, a cavallo tra il V e il IV sec. a.C.

La locuzione ''I Diecimila'' non è da confondersi con quelle dei ''Diecimila Immortali'', riferita all'unità di elite della guardia imperiale del Re dei Re di Persia.

Nel caso dei Diecimila stiamo parlando di un contingente di mercenari greci, provenienti da differenti regioni della Grecia che, nel contesto dello scontro tra Ciro il Giovane e suo fratello Artaserse II per il dominio sull'Impero di Persia, vissero un'incredibile epopea, che fu narrata dallo storico Senofonte nel suo scritto passato alla storia come l'Anabasi.

Senofonte era un ufficiale ateniese di cavalleria appartenente al contingente dei Diecimila (forse ad Atene aveva ricoperto l'importante grado di ipparca), e che partecipò all'avventura che li vide inoltrarsi nei vastissimi territori dell'Impero persiano, a loro praticamente sconosciuti, e percorrere in un anno e mezzo più di ottomila km in territorio ostile (401-399 a.C.), prima di poter ritornare in Grecia.

Senofonte era un autore versatile che scrisse di molti argomenti e la cui opera è giunta pressoché intatta fino a noi, facendone quindi una delle fonti più ricche del suo tempo. Tra i suoi trattati più famosi troviamo anche ''Sull'equitazione'' che è la prima opera completa sull'allevamento, sull'addestramento e su tutti gli aspetti legati al cavallo, sia dal punto di vista militare che civile. Da notare, tra le raccomandazioni di Senofonte in questa opera, quella di non provocare dolore al cavallo con l'addestramento, che quindi può essere considerata come una delle prime testimonianze di ''doma'' dolce.

Ma ritornando ai Diecimila, il suo scritto Anabasi fu quello più famoso e che ha avuto più eco fino ai nostri giorni.

Alla morte di Dario II di Persia, Artaserse II si insediò sul trono del Re dei Re e fece imprigionare il fratello Ciro il Giovane. La madre di Cirò però riuscì a intercedere e a farlo liberare. A quel punto Ciro organizzò la propria reazione alle ambizioni del fratello e organizzò un esercito con i suoi fedelissimi per fronteggiare Artaserse.

Ma per raggiungere una forza sufficientemente consistente, per poter sperare di sconfiggere il suo avversario, assoldò dei mercenari greci, come a suo tempo aveva fatto anche Dario II contro il fratello Arsite.

I mercenari greci furono concentrati a Sardi, in Asia Minore, con la scusa di fare fronte al Satrapo ribelle Tissaferne, ma Ciro non rivelò loro il vero scopo della missione, finché non giunsero a Tarso, dopo aver attraversato la Cappadocia e la Cilicia. Allora i Greci accettarono di proseguire nell'impresa, grazie ad un consistente aumento dei loro compensi, iniziando così la marcia verso Babilonia.

Quando l'esercito di Ciro arrivò a Cunassa, a circa 90 km dal Babilonia, sulla riva sinistra dell'Eufrate, fu intercettato da Artaserse II che nel frattempo era stato avvisato dei piani del fratello.

Era il 3 Settembre del 401 a.C. quando i due eserciti si scontrarono.

La consistenza più probabile del numero dei combattenti fu di 30.000 unità agli ordini di Ciro, compresi i Diecimila, e di 40.000 sotto il comando di Artaserse II.

La battaglia ebbe un esito incerto, poiché anche se i Greci riuscirono a sconfiggere la parte dell'esercito nemico comandata dal Satrapo Tissaferne, Ciro il Giovane perì nel tentativo di uccidere personalmente Artaserse II, ferendolo ad un fianco, ma fu a sua volta ferito a morte da un colpo di lancia.

La conseguenza fu che l'esercito di Ciro il Giovane sbandò e i Greci si ritrovarono da soli a fronteggiare le truppe di Artaserse. Ma la giornata era passata, e quindi i Diecimila si poterono ritirare nel loro campo.

Il giorno seguente, Tissaferne, come inviato del Re dei Re, si offrì di scortarli fuori dai territori della regione di Babilonia, poiché i Diecimila erano temibili, e i Persiani volevano evitare un'altra battaglia campale.

Ma quando i quattro comandanti in capo dei greci, con altri venti capitani di reparto, andarono nel campo di Tissaferne per sancire i dettagli dell'accordo, furono assassinati a tradimento. L'offerta del Satrapo era stata una trappola.

Sebbene privati di colpo dei loro comandanti, però i mercenari greci non si arresero, eleggendo immediatamente lo spartano Chirisopo come capo supremo del loro esercito, e lo stesso Senofonte come comandante in seconda.

Da lì iniziò la vera e propria epopea dei Diecimila.

I greci si liberarono di qualsiasi cosa potesse ostacolarli nella ritirata, bruciando l'accampamento e i carri. I cavalli da soma furono montati dai fanti, in modo da avere una forza di cavalleria in grado di fare delle ricognizioni durante l'avanzata del grosso dell'esercito, che era protetto ai fianchi dai lanci dei frombolieri, che così tenevano a distanza la temibile cavalleria persiana di Tissaferne.

Quella ritirata sotto la costante minaccia dei nemici durò fino a che, dopo aver risalito il corso del Tigri, i Diecimila giunsero nella regione dell'attuale Kurdistan.

Solo allora Tissaferne li lasciò andare.

Ma la parte peggiore delle vicissitudini dei Greci doveva ancora venire.

Infatti, per una settimana, attraversando il territorio dei Carduchi, una fiera e bellicosa popolazione dell'Armenia Meridionale, furono tempestati dai temibili archi di quelle genti, che inflissero ai Diecimila perdite maggiori di quelle che avevano subito durante tutta la spedizione fino ad allora.

Ad aggravare la situazione ci si mise anche la neve e la scarsità di scorte alimentari quando entrarono in Armenia Centrale, dove molto morirono a causa degli stenti e del freddo, e solo una ferrea determinazione permise ai superstiti di raggiungere la pianura in prossimità del fiume Centrice, dove grazie all'aiuto di alcuni villaggi, i Diecimila poterono riprendere le forze per rimettersi in cammino.

Le traversie non erano ancora finite e gli stenti neppure, e più di una volta i greci stavano per cedere alle avversità in cui, ad onore di Senofonte, si tramanda che fu lui a dare animo e coraggio ai compagni per proseguire il cammino alla ricerca di una via di salvezza.

Quello che seguì non fece di certo onore ai guerrieri greci, ma i saccheggi, che tra l'altro molte volte volte fallirono, erano a quel punto il solo modo che ebbero per sopravvivere fino ad arrivare alla città di Gimnià, attraverso un territorio ostile e impervio. Il capo della città fornì però una guida ai Diecimila che li guidò fino alla costa.

Il momento in cui raggiunsero il Mar Nero fu forse il momento più intenso descritto da Senofonte nell'Anabasi:

«[Senofonte] Allora scese da cavallo, prese con sé Licio e i cavalieri e corse a prestar soccorso, ma ben presto sentirono i soldati gridare: "Mare, mare". La voce rimbalzava di bocca in bocca. Allora anche tutta la retroguardia si mise a correre, mentre pure le bestie da soma e i cavalli vennero spinti al galoppo. Quando furono tutti sulla cima, cominciarono ad abbracciarsi, strateghi e locaghi, tra le lacrime. All'improvviso, chissà per esortazione di chi, i soldati portarono delle pietre e formarono un tumulo enorme.»

Senofonte, Anabasi, IV, 7, 24-25

Dalle coste del Mar Nero, per ritornare in Grecia, però i Diecimila dovettero cimentarsi in numerose battaglie, impiegando molti mesi prima di riuscirci, e dovendo anche sostenere Re Seute II di Tracia in una sua campagna militare, una volta passati dall'Asia al continente europeo.

Ne erano sopravvissuti solamente 6000 dei 10400 che erano partiti da Sardi.

Ritornato ad Atene, Senofonte arrivò giusto in tempo per assistere alla fine di Socrate, che era stato suo maestro, e che era stato condannato a morte a causa delle accuse di alcuni potenti politici. Da questo tragico episodio Senofonte prese spunto per scrivere  l'Apologia di Socrate in cui, ricordando gli insegnamenti del filosofo,  lo difende dalle accuse dei suoi calunniatori.

L' Anabasi ha un carattere auto-celebrativo da parte di Senofonte, ma esalta anche le virtù di tenacia e di coraggio che fecero ritornare i sopravvissuti dei Diecimila in patria, nonostante le terribili avversità incontrate. Senofonte tace sulle situazioni e azioni poco onorevoli che tuttavia implicò quell'epopea, ma ha il merito di aver comunque approfondito il carattere e i risvolti più profondi dei personaggi coinvolti in quelle vicende.

La sua opera ha fornito inoltre numerose informazioni sulla geografia, la situazione politica, la storiam e l'organizzazione militare dell'Impero di Persia e degli altri territori attraversati, ispirando così anche la visione di Alessandro Magno, che fu discepolo di un altro dei grandi filosofi greci, Aristotele.

Curiosa, ma poi non così tanto, è anche la notizia che lo stesso Marco Antonio, quattro secoli più tardi, nel corso delle guerre partiche, attraversando gli stessi immensi territori, in una situazione simile a quella vissuta da Senofonte, con l'esercito nemico che attentava alla ritirata delle legioni romane, ogni sera, accampando, leggesse un passo dell'Anabasi.

La storia dei Diecimila è stata ispiratrice ai giorni nostri de ''L'armata perduta'' di Valerio Massimo Manfredi, in cui però l'autore fa raccontare le vicende da una donna siriana, Abira, divenuta amante di Senofonte, con un espediente narrativo molto interessante, che fa così rivivere in un grande romanzo questa epopea.


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by Christian Biasi