Rosa Borgia

Arte & Intrattenimento

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arriva la prima bottiglia di latte con il 20% di plastica riciclata

05/03/2019, 22:34

Granarolo produrrà la prima bottiglia con una componente di plastica riciclata. Durante il mese di marzo arriverà sul mercato la bottiglia per il latte con il 20% di materiale recuperato, a testimonianza dell’impegno che la società sta cercando di mettere sul piano ambientale.Il processo prevede l’utilizzo delle bottiglie di latte in PET recuperate dalla raccolta differenziata. L’iniziativa rientra nella campagna di valorizzazione e rilancio del latte UHT (a lunga conservazione intero, a lunga conservazione parzialmente scremato, a lunga conservazione scremato) italiano di filiera, garantito e sostenibile. L’attività di Granarolo rappresenta solo l’inizio di una strategia che si articolerà nel tempo, come confermato dal presidente Gianpiero Calzolari:Oggi lanciamo sul mercato la prima bottiglia di latte con plastica riciclata, ma altri lanci di bottiglie nel 2019 ci permetteranno di ridurre il consumo di risorse non rinnovabili per un totale di 664 tonnellate di plastica con un ulteriore risparmio di 54,5 tonnellate CO2. Contribuirà anche a sensibilizzare i consumatori sulla raccolta differenziata, il riciclo delle bottiglie innescherà infatti un ulteriore risparmio: le bottiglie in PET verranno considerate così come una risorsa e non più come un rifiuto. Questa è la prima di una serie di importanti iniziative che ci vedranno lavorare anche al fianco di Conai e CoriPET. Una decisione in linea con gli obiettivi che l’Europa ha fissato in tema di economia circolare, dove si punta a far divenire gli imballaggi il 100% riciclabili entro il 2030.Ogni anno l’Europa è responsabile della produzione di 25,8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, e di queste solo il 30% finiscono effettivamente nel circuito virtuoso del riciclo.

Rosa Borgia

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05/03/2019, 22:05

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Infarto, le tecniche del futuro per svelare i segreti delle coronarie

04/03/2019, 23:52

C’era una volta l’elettrocardiogramma. L’esame è sempre fondamentale per registrare gli impulsi elettrici delle cellule miocardiche. Le cellule sofferenti o malate non sono in grado di generare potenziali elettrici normali. Queste alterazioni vengono colte durante l’esame e disegnano un tracciato anomalo. Ma la cardiologia, oggi, è sempre più portata alla rivoluzione tecnologica, per capire davvero chi è a rischio di sviluppare un infarto e prendere le opportune contromisure. A dirlo sono gli esperti presenti a Firenze in occasione del congresso “Conoscere e curare il cuore”. L’obiettivo è studiare l’arteria e la placca tipica dell’aterosclerosi in una sorta di “dissezione” che consenta di comprendere bene le caratteristiche della parete del vaso e della lesione. Per aiutarci viene in aiuto la Tomografia a Coerenza Ottica (OCT), che si basa sullo sfruttamento delle onde luminose per disegnare le strutture delle arterie coronariche. “Grazie alle strategie di imaging intracoronarico ad alta risoluzione”- commenta Francesco Prati, Presidente della Fondazione Centro per la Lotta contro l’Infarto – si è aperta una nuova prospettiva nello sviluppo delle tecniche di caratterizzazione della placca. L’OCT è l’unica tecnica intracoronarica disponibile sul mercato, in grado di individuare le placche mettendo a fuoco lo studio dell’infiammazione”. Più in generale, l’imaging può rappresentare una nuova frontiera nella diagnosi dell’aterosclerosi con infiammazione. “La PET (Tomografia a emissione di positroni) è la tecnica più promettente per individuare e misurare l’infiammazione delle grandi arterie come l’aorta e le carotidi. L’OCT si arricchirà tra poco con una nuova metodica che permetterà di studiare le cellule infiammatorie (macrofagi) delle arterie coronarie del cuore con una precisione ancora maggiore. Si tratta della fluorescenza intravascolare ad infrarossi. Questa è probabilmente la metodica del futuro per studiare a fondo la vulnerabilità della placca e l’infiammazione coronarica”.Obiettivo, svelare l’infiammazioneL’infiammazione delle arterie coronariche, insomma, rappresenta il target della diagnostica, per capire chi è davvero a rischio d’infarto. Oggi, l’infiammazione può essere individuata in modo sistemico grazie a marcatori che la misurano nel sangue. Le cellule infiammatorie hanno un ruolo determinante nella crescita delle lesioni aterosclerotiche. La sindrome coronarica acuta tende a manifestarsi in presenza di un’alta concentrazione di markers infiammatori nel sangue, come la proteina C reattiva ad alta sensibilità, la mieloperossidasi neutrofila, la protocalcitonina e i globuli bianchi. Esistono dati assai convincenti che dimostrano un collegamento tra le infezioni acute ed i loro effetti diretti sulle placche aterosclerotiche. Infatti, le persone che muoiono a causa di infezioni acute sistemiche hanno un alto numero di macrofagi e cellule T nel grasso periavventiziale delle coronarie, rispetto alle persone morte, senza infezione. Anche per questo l’influenza, così come altre infezioni, può rappresentare una sorta di elemento “scatenante” di problemi di salute cardiaca.

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