Arte & Intrattenimento
Giornata mondiale degli Insegnanti
Buongiorno a tutti, cari amici, scusate il campanilismo, ma dopo tanti anni di lavoro mi sembra doveroso ricordare la Giornata mondiale degli Insegnanti 🧑🏫 e per una volta accentrare l’attenzione su un mestiere che è fondamentale per la società e il futuro del Paese. Un mestiere che va svolto prima di tutto con il cuore 💓 nonostante tante persone non la pensino così.
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Visita alla nave scuola Palinuro
In pochi immagini condivido con voi una sintesi della mia visita alla nave scuola Palinuro nel porto di Messina in occasione della rievocazione storica dello sbarco di Giovanni d’Austria nella stessa città prima della battaglia di Lepanto nel 1571.
Ecco un breve riassunto della sua storia:
La nave scuola Palinuro è un veliero che la Marina Militare Italiana utilizza come nave scuola per gli Allievi Sottufficiali Nocchieri, Nocchieri di Porto, Meccanici e Motoristi Navali. Le Scuole frequentate dagli Allievi sono quelle di Venezia, Porto Ferraio, La Maddalena e Taranto. Il nocchiere è il marinaio che governa la nave. Sono nocchieri il timoniere, il capo timoniere e tutti coloro che si occupano delle operazioni in coperta e fuori bordo (ormeggio, disormeggio, rifornimento, manutenzione e pulizia). Sulle navi a vela costituiscono una buona parte dell'equipaggio, infatti oltre ai lavori esterni previsti normalmente su tutte le navi, si aggiungono, su questa tipologia di imbarcazione, anche quelli agli alberi.
Il Palinuro è una nave goletta. Ha tre alberi più il bompresso. L'albero di trinchetto ha le vele quadre. Gli alberi di mezzana e maestra invece sono armati con vele auriche. Il bompresso ha i fiocchi.
La nave fu varata nel 1934 in Francia, nei Cantieri Navali di Nantes. Il suo primo nome fu Commandant Louis Richard. Era utilizzata come nave da trasporto e da pesca (in particolare del merluzzo nella zona dei Banchi di Terranova) da una società privata francese. Era armata con tre alberi a vele auriche ed era dotata di un motore diesel di 375 hp. Venne acquistata dalla Marina Militare Italiana nel 1950, dopo la perdita della nave scuola Cristoforo Colombo, ceduta alla Russia in conto danni di guerra.
Grazie alle cure dell'Arsenale di La Spezia sono stati apportati i lavori necessari per trasformarla in nave scuola. Il 16 luglio 1955 entrò finalmente in servizio. Ha effettuato 34 Campagne Addestrative (nel 2005) soprattutto nel Mediterraneo, ma anche nel Nord Europa.
Il suo motto è FAVENTIBUS VENTIS.
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Borsellino, il dovere di rischiare per gli altri
Il 19 luglio 1992 il terribile attentato. Il giudice sapeva di rischiare la propria vita: “È necessario che lo faccia, e che lo facciano altri assieme a me"
Alle 16.58 del 19 luglio 1992 una Fiat 126 imbottita di tritolo, parcheggiata sotto l’abitazione della madre di Paolo Borsellino, a Palermo, detona uccidendo il giudice e cinque agenti della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Unico sopravvissuto l’agente Antonino Vullo, scampato alla strage perché al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.
“Un attentato dinamitardo - comunicava l’Ansa alle 17 e 16 - è stato compiuto a Palermo. Vi sono coinvolte numerose automobili e sono molti i feriti. Sul luogo dell’esplosione che è stata avvertita ad alcuni chilometri di distanza, sono confluite tutte le pattuglie volanti della polizia e dei carabinieri. Sono state richieste autoambulanze da tutti gli ospedali. Secondo le prime indicazioni della polizia, un magistrato sarebbe rimasto coinvolto nell’attentato” (il nome di Paolo Borsellino sarà reso pubblico alle 17.47).
Questo il ricordo del figlio Manfredi anni dopo:
“La mattina del 19 luglio complice il fatto che si trattava di una domenica ed ero oramai libero da impegni universitari, mi alzai abbastanza tardi, perlomeno rispetto all’orario in cui solitamente si alzava mio padre che amava dire che si alzava ogni giorno (compresa la domenica) alle 5 del mattino per ‘fottere’ il mondo con due ore di anticipo (…). Ricordo che in tv vi erano le immagini del Tour de France, ma mio padre, sebbene fosse un grande appassionato di ciclismo, dopo il pranzo, nel corso del quale non si era risparmiato nel ‘tenere comizio’ come suo solito, decise di appisolarsi in una camera della nostra villa. In realtà non dormì nemmeno un minuto, trovammo sul portacenere accanto al letto un cumulo di cicche di sigarette che lasciava poco spazio all’immaginazione (…) mio padre raccolse i suoi effetti, compreso il costume da bagno (restituitoci ancora bagnato dopo l’eccidio) e l’agenda rossa della quale tanto si sarebbe parlato negli anni successivi, e dopo avere salutato tutti si diresse verso la sua macchina parcheggiata sul piazzale limitrofo le ville insieme a quelle della scorta. Mia madre lo salutò sull’uscio della villa del professore Tricoli, io l’accompagnai portandogli la borsa sino alla macchina, sapevo che aveva l’appuntamento con mia nonna per portarla dal cardiologo per cui non ebbi bisogno di chiedergli nulla. Mi sorrise, gli sorrisi, sicuri entrambi che di lì a poche ore ci saremmo ritrovati a casa a Palermo con gli zii”.E invece non si rivedranno mai più. Esattamente come Emanuela, Agostino, Vincenzo, Walter e Claudio non torneranno più a casa. Uccisi da Cosa Nostra in quella calda e terribile estate che cambiò la nostra storia.
“Io accetto - diceva il giudice in una intervista pochi giorni prima - ho sempre accettato più che il rischio, la condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli. La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro”. Di quell’ormai lontano 19 luglio 1992 rimane impressa negli occhi l’immagine di Maria Falcone, sorella di Giovanni, e Lina Morvillo, mamma di Francesca, accanto ad Agnese Borsellino ed ai suoi figli.
“Ci sono tante teste di minchia - si racconta il giudice avrebbe voluto dire il giorno dei funerali di Giovanni Falcone, al quale sopravviverà solo due mesi - teste di minchia che sognano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello… quelle che sognano di sciogliere i ghiacciai del Polo con un fiammifero… ma oggi signori e signore davanti a voi, in questa bara di mogano costosissima, c’è il più testa di minchia di tutti… Uno che aveva sognato niente di meno di sconfiggere la mafia applicando la legge”.
Fonte collettiva.it