Matteo Scano

L'orizzonte della morte

2019-08-31 16:37:58

"L'uomo è caratterizzato dal suo essere per la morte. Se egli è definito dalla possibilità di essere, la morte è la negazione di questa possibilità, l'orizzonte in cui si iscrive la sua vita"-

La riflessione sulla mortalità dell'uomo è -e non potrebbe essere altrimenti- fondamentale nel corso della riflessione filosofica occidentale.

Questa caratteristica della mortalità è importantissima per il pensiero greco; i Greci avevano due parole per dire uomo: "ἄνθρωπος" e "Ἀνήρ" e non le usavano quasi mai. All'epoca di Omero usano la parola "Πρώτος" che significa "colui che è destinato a morire" e all'epoca di Platone usano la parola "θνητός" che significa "il mortale".


Quando Paolo di Tarso arrivò all' Areopago di Atene e disse che dopo la resurrezione di Cristo anche i cristiani risorgeranno con i loro corpi, i Greci lo guardarono e alcuni risero; altri dissero "Bene, questa storia ce la vieni a raccontare un'altra volta." 

(riferito da Luca, negli atti degli apostoli al capitolo 14)

I Greci non pensavano che gli uomini morissero perché si ammalavano, ma piuttosto che gli uomini si ammalassero perché dovevano fondamentalmente morire. La malattia non era altro che la strada che dovevano percorrere per arrivare al proprio destino: la morte.

Il dolore per i Greci non era né bene né male, semplicemente esisteva come parte della vita. Il Greco diceva: "Quando la vita ti aiuta con la sua potenza e la sua forza, vivila in tutta la sua espansione e quando sopraggiunge il dolore, reggilo ed evita di metterlo in scena." Questa dimensione è stata poi stravolta dal cristianesimo, per il quale il dolore diventa motivo di espiazione, e quindi un qualcosa di positivo, poiché concorre alla redenzione. Si passa cioè al piano della  trascendenza, a un registro teologico.

Oggi, nel mondo tecnico, le cose cambiano ulteriormente e il dolore passa dalla religione alla scienza, diventa cioè monopolio della medicina che intrisa della perfettibilità tipica della tecnica, lo trasforma in possibile guarigione, in qualcosa di tecnicamente oltrepassabile.


Questo a dimostrazione della mutabilità delle idee, che non possiedono mai un significato univoco, ma sono destinate a cambiare in base al contesto nelle quali vengono analizzate. È la storia l'unica responsabile dell' assegnazione del significato che le cose possiedono.


La nostra epoca è però quella che più di ogni altra compie il fatale errore di non pensare più i concetti di dolore e di morte. Con il tempo, le idee periscono e nuove concezioni nascono, ma sembra invece che al nostro tempo le idee muoiano senza mai lasciare un' eredità.

Vive oggi la frenecità per il nuovo, e il terrore per la morte. Nel pieno paradigma del consumismo, portiamo alla distruzione gli oggetti nel minor tempo possibile, (in questo, l'obsolescenza programmata torna molto utile) per comprarne di nuovi, sempre più moderni; in maniera riflessa, desideriamo inconsciamente di poter fare stesso con la nostra persona, di buttarci per ricomprarci ed evitare la vecchiaia, la morte.


“Per i nostri avi, “una casa”, una “fontana”, una torre loro familiare, un abito posseduto erano ancora qualcosa di infinitamente più intimo; quasi ogni cosa era un recipiente in cui rintracciavano e conservavano l’umano."

- Rainer Maria Rilke, “Briefe aus Muzot”.


E allo stesso modo con cui sostituiamo il vecchio con il nuovo in nome della modernizzazione nel mondo degli enti, proviamo a preservare la nostra persona dallo scorrere del tempo, cadendo nell'angoscia quando intendiamo che sia impossibile.

Potremmo dire di vivere un eterno presente, un mondo senza cognizione di passato e futuro, nel quale nemmeno gli oggetti hanno il tempo di perire da sé stessi, perché subiscono una necessaria sostituzione. Più che alla nostra realtà siamo attaccati al mondo dell' internet, che appare come il grande casinó senza orologi, con la conseguenza che il tempo sembra non passare mai.

Senza una concezione finita del tempo data dalla morte, anche il vissuto diventa di secondo piano; le scelte perdono di importanza, non si ha paura di non porsi degli obbiettivi o di perdere del tempo, poiché se ne ha una infinità disponibilità.

È allora necessario recuperare l'orizzonte della morte, l'idea del finito. Uscire dal paradigma del consumismo che teme la vecchiaia, poiché solo ciò che viene sostituito prima della vecchiaia può concorrere alla soddisfazione dell' imperativo della crescita al quale siamo economicamente sottoposti. 

Ridare un'anima alle cose, una storia, un'importanza che vada oltre alla semplice utilità; di modo che chi sia attaccato alle cose non venga visto da un profilo negativo, quello dell' avarizia, ma piuttosto da quello della sensibilità.


E ancora : reiniziare a discutere il concetto di dolore, il concetto di morte, e non sacrificare la nostra capacità di pensiero a un mondo nel quale non vi è tempo per riflettere, poiché si pensa piuttosto a produrre o ad apparire sulla rete.

"L'uomo è caratterizzato dal suo essere per la morte. Se egli è definito dalla possibilità di essere, la morte è la negazione di questa possibilità, l'orizzonte in cui si iscrive la sua vita"

-M. Heidegger, da "Essere e Tempo"