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L’orco che non spaventava i bambini
L’inverno volgeva al termine, c’erano i primi segnali di speranza nella campagna, in città gli abiti delle persone più frenetiche acquistavano continuamente leggerezza, pur conducendole inevitabilmente a delle pessime figuracce. Si mangiava già diverso, più estivo, le calorie venivano messe da parte in attesa di esibire i corpi sulle spiagge. Ingiustamente si fece anche una proposta di legge per anticipare l’arrivo dell’estate, la proposta fortunatamente fu bocciata, ma furono egualmente in molti ad andare in vacanza in anticipo, il sole fu avaro ed il mare tradì le loro aspettative. E pensare che certe volte basterebbe guardare le ombre per capire quando è davvero arrivato il momento delle vacanze. Non c’era nulla da fare, il mondo intero era avvolto dall’eccesso e tutti svolgevano, proponevano e facevano azioni inconsulte. In un GIOVEDI di quelli da fuga dalla città, almeno così appariva agli occhi della gente, tra quei pochi rimasti, colti dall’impossibilità economica o magari perché ligi esecutori della propria attività, si notò in giro per le strade un volto nuovo, distinto. Immediatamente dopo l’impulso innato, che ignobilmente trafigge le piccole città pettegole e curiose, l’uomo veniva schivato dai passanti, anche in virtù del suo abbigliamento e, non ultimo, perché portava in testa un grosso cesto, proprio come facevano le donne un tempo, quando andavano ai lavatoi pubblici a lavare i panni dei soldati o quando, sempre con il cesto in testa, spostavano il cibo da un posto all’altro, eludendo i controlli in tempo di guerra. Le persone che gli passavano accanto a volte ridevano, portandosi una mano alla bocca, altre facevano finta di ignorarlo, ma solamente per presunzione. Nel cesto l’uomo custodiva cento lumache, non infastidiva nessuno, la sera si ricoverava nei portoni aperti. Qualcuno, pur ammettendolo, certe volte lasciava il portone aperto proprio per permettere all’uomo di rifugiarvisi.
C’erano poche persone che dialogavano con l’uomo, tre in tutto: una fruttivendola, dove l’uomo andava a comperare l’insalata per le sue lumache; un giardiniere che gli permetteva di liberare le lumache nelle aiuole del parco che custodiva, anche se le lumache, qualche volta, facevano piccoli danni; un bambino che si accorse dell’uomo, notò i suoi spostamenti fino a vederlo dormire nel portone della sua casa, così il bambino lo lasciava sempre aperto, sapendo che quel gesto era un gesto d’amore spontaneo.
All’uomo tutto ciò bastava, non aveva mai chiesto di più, né pensava di farlo. La sua vita era fatta di pochi attimi, di circostanze oneste, nulla di veramente progettato. Nessuno sapeva la sua età, forse neanche lui la conosceva, i suoi anni erano passati indenni dalle complicazioni del mondo, i suoi giorni trascorrevano con lo stesso ritmo della vita della natura e non con il ritmo che l’uomo a tutti i costi vuole imprimergli. La sua forza era la sicurezza della natura, era cosciente di essere utile al mondo, come sapeva che il mondo lo era per lui. Come il mondo lo proteggeva, lui proteggeva le cose del mondo. Questo equilibrio appariva guardando la sua figura, la sua andatura, il suo volto.
Il bambino lasciò cadere la palla dal balcone e, eludendo il controllo della madre, scese a raccoglierlo per assicurarsi che il portone fosse aperto, per accertarsi che l’uomo anche quella notte potesse trovare riparo. L’operazione fu compiuta in pochi attimi, il ragazzo tornò con il pallone fra le mani. La madre, intanto, aveva visto il figlio scendere in modo strano, ma lui camuffò bene con il volto, aveva l’espressione di chi ha appena ricevuto in dono una palla, perciò la mamma fece finta di nulla. Successivamente il ragazzo si assicurò, guardando da dietro il vetro della finestra della sua camera, che la lunga ombra inconfondibile prendesse possesso del riparo, la stessa ombra che al mattino vedeva scomparire con le prime luci, quell’ombra stravagante e onesta proprio come quelle che incuriosiscono e piacciono ai bambini.