Giovanni Floris

l'orco che non spaventava i bambine

2019-08-17 14:49:06

terza parte

Riprese il suo girovagare, il parco era vicino alla scuola, la scuola non distante dal negozio di ortofrutta. L’uomo andò a comprare l’insalata per le sue lumache ed appena entrò nella bottega fu accolto dal solito sorriso radioso della signora. La fruttivendola era una donna di mezza età, sulla cinquantina ed ancora piacente, con un gran bel sorriso rosso, il fisico ben mantenuto, occhi chiari e due grandi anelli d’oro alle orecchie. Somigliava ad una gitana, ad una gitana di mezza età, i suoi modi garbati, il suo sorriso rassicurante. “Come stanno le sue lumache?”, esclamò la donna, non curandosi più delle persone che accalcavano la bottega, pur sapendo che avrebbe avuto da spendere molto più del vecchio. “Bene, stanno bene”, rispose non curandosi dei clienti della bottega che, intanto, avevano stretto un cerchio attorno al quale avevano iniziato l’opera di pettegolezzo. Si formarono due mondi: uno reale, ed un altro che, seppur reale, era parallelo al primo. Nulla ruppe quell’incantesimo tranne la voce della donna che, squillando, coprì i pettegolezzi: “Offre la ditta, oggi mi va così, tenga l’insalata per le sue lumache”. L’uomo timidamente accettò il generoso gesto e facendole un inchino reale si congedò.

Come succede quando il cinematografo si blocca e poi la pellicola si riavvolge riprendendo la trama del film, i clienti si rianimarono, con tutta la loro presunzione, ripresero le rituali gestualità e, ad alta voce, si scontrarono in una sorta di competizione fatta di:“Tocca a me, no no tocca a me”. La fruttivendola non ci fece caso più di tanto perché intenta, con la coda dell’occhio, a seguire la lunga ombra che si allontanava, lunga per quel cesto di lumache che portava sulla testa. Il bambino uscendo dalla scuola incrociò il vecchio per la seconda volta, il sorriso del ragazzo in questa occasione fu più sicuro quasi disinvolto, quello del vecchio rassicurante come sempre. Ognuno però proseguì per la sua strada senza parlare, si voltarono solo contemporaneamente verso la fine del viale per un attimo, poi scomparirono definitivamente l’uno dalla vista dell’altro.

Sabato mattina il padre fece ritorno a casa proprio come la mamma aveva garantito al ragazzo, tanto preso dalla sua magnanimità che quasi fu colto di sorpresa dal ritorno del padre, ritorno che gli dava grande gioia, ma che allo stesso tempo lo coglieva impreparato sulla nuova strategia da usare per poter scendere ad aprire il portone. Sicuramente quella della palla il padre non l’avrebbe bevuta.

Il ragazzo sapeva bene che non si deve origliare dietro alle porte, ma capì, senza ancora aver udito nemmeno una parola, che quella era una delle volte che, oltre a poterlo, bisognava farlo. Sentiva la madre singhiozzare e il padre amorevolmente che cercava di calmarla, accostò l’orecchio più vicino che poteva e udì il padre che diceva: “Non mi restano da vivere più di sei mesi, un anno al massimo se mi sottoporrò alla cura intensiva, perderò però tutti i capelli”. Fu attraversato dal terrore dell’orfano, le lacrime della madre erano in quel momento per lui quelle di una vedova, era completamente disorientato, immobile, non aveva più il coraggio di ascoltare, ma udì il padre dire anche: “Vedrai, magari i medici qualche volta possono sbagliare, l’importante è stare uniti e avere fiducia, vedrai ce la faremo”. Il ragazzo si trovò a compiere due passi indietro d’istinto, solo perché aveva udito il padre alzarsi dalla poltrona e per un attimo si riebbe dallo stato confusionale in cui era, sentì che le parole del padre gli davano coraggio, sentì che, seppur suo padre era malato, non avrebbe smesso mai di proteggerlo, sentì il suo naso gocciolare ed il suo viso coperto dalle lacrime, sentì contemporaneamente la voglia di vivere per aiutare suo padre, ma anche quella di morire, l’avrebbe fatto al posto suo pensò.

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