Ezio Sblendorio

Founder Senior

Freely e la libertà

2020-08-18 14:13:40

Un racconto sulle credenze limitanti. Con illustrazioni di Ermes Sblendorio, mio figlio, 10 anni.

Freely, l’elefantessa giocosa e piena di vita, nata nel villaggio di Slavys, si era persa nella savana già due volte, ed era stata salvata da un boa gigante e dall’attacco dei leoni, prima che il suo padroncino Billy, decidesse di legarla con una grossa cavigliera ed una pesante catena, ad un blocco di cemento, troppo pesante per essere sollevato da un elefante ancora piccolo come lei.

Avrebbe voluto essere grande e forte come la mamma. No! Come il papà! Per rompere quella catena, o trascinare con sé, per la savana, quel macigno artificiale, per mostrare la sua forza e rimarcare la piccolezza del suo protettore carceriere.                                                          

Tirava e cercava di divincolarsi, e si disperava, per l’impossibilità di liberarsi da quella ingiusta punizione.                                                                       

In fondo avrebbe avuto ragione di essere libera di morire come avrebbe voluto! Chi mai erano, quelli uomini protettori, per avere la presunzione di salvarla dalle bestie feroci? E se fosse venuta al mondo solo per sfamare una leonessa e i suoi cuccioli?

Ah! Cosa avrebbe dato, per sfidare la libertà di tornare ancora viva dopo l’ennesima fuga! Così cresceva e sognava la libertà, ma ogni volta che tirava, la caviglia le faceva così male, che non riusciva a stare in piedi per il dolore. Giorno dopo giorno si abituò alla condizione limitante, e si meritò di essere portata a fare piccoli giri, guidata dagli altri elefanti e dal suo educatore Billy.                                                                                                                                                              

Billy era affettuoso, non le faceva mancare nulla da mangiare e da bere, le accarezzava le grandi orecchie, le saliva sulla groppa, e si faceva abbracciare dalla proboscide di freely, che fu presto in  grado di tirarlo su, quando cominciarono a crescere le zanne d’avorio bianchissimo. Passarono gli anni, e Freely fu sempre più libera di muoversi, fu affidata alle carovane che portavano le merci, e ai giri turistici con i bambini occidentali, tanto eccitati alla vista di quello splendido pachiderma, e imparò a tornare, tutte le sere, esattamente dove l’aspettava la sua cavigliera, e potesse essere legata, con un lucchetto, alla catena che la univa al blocco di cemento. Ma quando era slegata, perché non scappava più via? Billy aveva sempre con sé la cavigliera. Era pesante, e la portava nel basto di Freely. Ogni volta che la carovana si fermava, legava la cavigliera e la catena ad un albero robusto, così che Freely potesse sentirsi protetta. Un giorno Billy e Freely si trovarono in un deserto senza alberi, e si accamparono per la notte. Billy si chiese dove avrebbe potuto legare la catena di Freely, ora che la fortissima elefantessa, avrebbe potuto sradicare anche un albero con pochissimo sforzo, ma sapeva ormai, che l’animale era diventato docile al solo gesto di legarle la catena, che non cercava più di divincolarsi, e che forse, sarebbe bastato piantare un picchetto nella sabbia, per farla stare tranquilla. Così Freely passò la notte, senza nemmeno pensare di tirare una volta, e si addormentò, sognando la libertà, senza alcun vincolo, libera di tornare a correre felice per la savana senza pericoli. Se solo avesse mosso anche per sbaglio la zampa, il picchetto sarebbe venuto via, e lei avrebbe potuto essere libera, anche se, con una cavigliera di ferro, con un lucchetto tintinnante.  

Freely fu ben attenta a non muovere quella zampa, tanto era abituata a cercare di non farsi male, come aveva fatto tante volte da piccola quando era costretta a pentirsi ogni volta che si slogava la caviglia per le strattonate. Non sognò più neanche la libertà, e desiderò una cavigliera d’argento con dei corallini rossi, tanto leggera da poter essere portata sempre, tanto elegante da sembrare addirittura un vezzo.                                                                                

Anche Billy ne portava una simile, tatuata, ed ogni volta che tornava a casa, dopo che aveva accudito e legato Freely, il suo padrone, la legava con una cavigliera vera, al letto su cui dormiva, per continuare a garantirgli la vita con il cibo che gli passava. Nel deserto il padrone di Billy non c’era, e sarebbero potuti scappare oltre il confine, per viver liberi e felici, ma Billy aveva chiuso i suoi sogni in un forziere, che aveva nascosto in una spelonca, e aveva gettato le chiavi in un fiume di lava.                       Quel giorno Billy aveva deciso di morire per sempre a questa vita: sarebbe stato disposto a raccontare ogni ipocrita bugia, che definiva bianca, per nascondere il misfatto, il suicidio di sé, e la schiavitù indiscussa, sotto il suo padrone. Così Billy era diventato un carceriere perfetto. Solo l’uomo è capace tanta atrocità verso se stesso. Freely, invece, era una elefantessa, e non aveva la coscienza come il piccolo padroncino, aveva l’istinto.                                                                                                     Fu così che un elefante bianco si trovò lungo il passaggio dove Freely era accampata, e quando le fu accanto, incrociò, i suoi occhi luminosi e leali, con quelli della tenera elefantessa.                                                                                                      

Si riconobbero, come se fossero sempre stati destinati a quel momento. Freely pensò che aveva sempre vissuto per incrociare la sua proboscide con quella di lui, almeno una volta, ma la sua credenza di non potersi muovere, la limitava, e mentre era attratta dallo Spirito incarnato dell’elefante bianco, sentiva tutti i dolori alla caviglia, che aveva provato per una vita intera.

L’elefante bianco le regalò una cavigliera d’argento, con piccoli nodi corallini, le propose di indossarla sulla caviglia libera, e le chiese di provare a muovere la zampa limitata.                                                                                                               

Freely, curiosa e volitiva com’era, non se lo fece dire due volte, e vide che alcuni movimenti erano possibili.                                         

L’elefante bianco divelse il picchetto con la sua elegante proboscide, e Freely si accorse improvvisamente, di essere l’unica padrona della propria vita.      

Il cuore le salì in gola, e all’improvviso si sentì totalmente libera, quanto impaurita.       Guardò di nuovo gli occhi pieni d’amore del suo inatteso liberatore, e chiese perché lo avesse fatto. Lui disse che una voce nel cuore lo aveva spinto fin lì, e che il suo compito era finito.                                                                                                     

Così riprese la sua marcia verso il mare che non aveva mai visto, salutando Freely con le sue orecchie festose.                                                                                                       Freely si guardò il gioiello simbolico e la vera catena, legati alle caviglie; restò vicina alla tenda per qualche minuto, provando e riprovando a camminare, come se non lo avesse mai fatto. Non le sembrava vero; anche se aveva il lucchetto alla caviglia, non sentiva il peso del macigno di cemento!    

Guardò all’orizzonte; scorse se ancora apparisse l’elefante bianco, e lo vide nel sole che sorgeva ad est.                                

Lo rincorse con il cuore in gola, pregandolo di aspettarla. Le sarebbe piaciuto vedere il mare. Così gli chiese di viaggiare con lui, e lo supplicò di aiutarla a togliere per sempre le catene, e di conservare per lei la cavigliera d’argento per mostragliela tutte le volte in cui si fosse dimenticata della libertà.                                                         Billy si svegliò all’alba, e non trovando Freely, non fu tanto preoccupato per la salute dell’animale, quanto per la punizione, che al ritorno, lo avrebbe atteso da parte del padrone.                                                                                                    

Tornò a casa sconsolato e triste, ma quando incontrò il suo padrone, fu sorpreso, trovandolo con una cavigliera d’argento tra le mani. Il padrone legò il gioiello al piede di Billy e lo lascio andare.                                                                       

L’elefante bianco era stato allevato da lui stesso, nella libertà di andare e di tornare, se una volta raggiunto il mare, non avesse trovato la vita che desiderava.                     Con l’elefante bianco, il padrone di Billy, aveva imparato che la fedeltà non era garantita dall’essere legati ad una catena. L’educazione dell’elefante bianco gli aveva fatto ottenere la Grazia per tanto buio che, per anni, aveva tenuto nel cuore, e adesso, era felice per non essersi ingannati reciprocamente con la storia  delle credenze della cavigliera e del picchetto.                                                                               Freely e l’elefante bianco tornarono molte volte a trovare Billy ed il suo padrone, non più legati con catene   vere, né gioielli che ne ricordassero la forma, ma connessi da una cavigliera simbolica legata al cuore.  

Il cuore guidò i loro passi, sciolse ogni catena di paura, e la verità, coraggiosamente cominciò diventare realtà.

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